Oggi affrontiamo un tema delicato: l'Omessa dichiarazione dei redditi. Con l'avvento dei moderni computer ed il considerevole sviluppo della rete internet, si è assistito ad un notevole cambiamento in diversi settori dell'economia, tra cui anche quello degli investimenti. Infatti, mentre prima per poterli effettuare si doveva avere una considerevole esperienza nel settore e l'accesso al loro mercato era limitato in pratica agli addetti ai lavori, adesso invece pressoché tutti possono accedervi per eseguire svariate operazioni. Il tutto anche grazie al cosiddetto Trading Online.
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- La normativa vigente e la sentenza della Corte di Cassazione sull’Omessa dichiarazione dei redditi e sull'eventuale ravvedimento
- Tasse sul Trading: come funziona esattamente? Te lo spieghiamo noi
- Cosa va tassato
- Funzionamento della tassazione sul trading online
- Tasse sul trading: come dichiarare il conto di trading?
Questa non è altro che un'attività di compravendita, anche di genere speculativo, di molteplici prodotti finanziari e in vari mercati specifici, attraverso l'uso di dispositivi elettronici quali computer o smartphones ed utilizzando la rete internet ed in particolare delle apposite piattaforme online messe a disposizione da società del settore per degli utenti interessati (chiamati trader). I prodotti finanziari oggetto di quest'attività possono essere i più diversi: azioni, titoli di Stato, materie prime, valute ed altri ancora.
Potendosi svolgere inoltre con l'uso di un computer o di un semplice smartphone, questa attività non richiede un ufficio o una postazione particolare, di conseguenza la si può effettuare anche da casa, seduti comodamente ad una scrivania o sul divano. Inoltre, altro elemento che ha permesso la sua veloce diffusione, è il fatto che tale genere di operazioni può essere svolta da tutti, anche senza una particolare conoscenza approfondita di attività finanziaria.
Poi, gli investimenti e quindi la compravendita dei diversi prodotti può avere durata variabile. Infatti tra l'acquisto e la vendita possono passare da alcuni minuti fino a svariate ore. Il trading, essendo un'attività economica speculativa, può portare a guadagni e perdite, anche notevoli. E nel caso si ottenessero dei profitti, come vedremo, pur essendo maturati su internet, essi devono essere sottoposti a tradizionale tassazione, così come qualsiasi altro genere di entrata economica o reddito per un soggetto fisico o giuridico.
Il trading online è un’attività speculativa e di investimento in costante ascesa che comporta delle perdite, ma anche dei guadagni; tuttavia ciò che si guadagna online con il trading è sottoposto a regime fiscale.
Molti trader, anche esperti, prestano troppa poca attenzione agli aspetti fiscali, ma l’omessa dichiarazione dei redditi da attività di trading comporta gravi sanzioni e, in alcuni casi illeciti penali; si raccomanda di non lasciare mai nulla al caso e che ovunque si generi un reddito di una certa entità, questo necessita di essere dichiarato ai fini fiscali.
La normativa vigente e la sentenza della Corte di Cassazione sull’Omessa dichiarazione dei redditi e sull'eventuale ravvedimento
L’evasione fiscale e l’omessa dichiarazione dei redditi è un reato penale che, stando alle norme attuali, si configura nel caso in cui viene superata la soglia di rilevanza penale per i reati tributari, ovvero 50.000 €. La dichiarazione dei redditi si considera omessa allo scadere dei 90 giorni previsti per la presentazione del modello 730 o Modello Unico da parte del contribuente non esonerato; allo stesso modo l’eventuale imposta dovuta si intende evasa quando corrisponde all’ammontare da versare al netto delle somme già versate prima della scadenza del termine di presentazione della dichiarazione. Il reato di omessa dichiarazione dei redditi comporta la reclusione da 1 a 3 anni.
Infatti, sebbene non sia obbligatoria la partita IVA, c'è comunque un imposta del 26% da pagare per quanto riguarda le attività di investimento e trading. Nel caso in cui si abbia la volontà di effettuare investimenti all'estero, invece è consigliabile informarsi riguardo la necessità di aprire una partita IVA, soprattutto per quanto riguarda i paesi fuori dall'Unione Europea, ad esempio, per quanto riguarda la Gran Bretagna, dopo la Brexit, potrebbe essere necessaria una partita IVA inglese.
Una sentenza della Corte di Cassazione ha, però, segnato una svolta a favore dei contribuenti. La sentenza 31343/19 depositata il 19 luglio 2019 accoglie il ricorso di un contribuente in sede di Appello condannato a 9 mesi di reclusione per reati penali e sancisce che per attestare la sussistenza del reato bisogna dimostrare che vi sia stata la volontà concreta di evadere le imposte. In sostanza, la Cassazione stabilisce l’obbligo da parte dell’Agenzia delle Entrate di fornire la prova specifica della volontà di evasione, in quanto non è più sufficiente violare l’obbligo di presentazione della dichiarazione dei redditi, né addurre la mancata vigilanza sull’attività del commercialista.
La dichiarazione dei redditi per attività di trading e il ritardo nella sua segnalazione
È sempre obbligatorio dichiarare un conto trading italiano o estero in regime dichiarativo (quando è il trader in prima persona a occuparsi degli aspetti fiscali legati al conto trading e ai redditi generati da questa attività). Si ricorda che coloro che operano nel trading optando per il regime sostitutivo sono agevolati nello svolgimento delle pratiche fiscali in quanto la stessa piattaforma di trading funziona da “sostituto di imposta” nei confronti dell’Erario – purché la piattaforma sia regolamentata.
L’obbligo di dichiarazione è contemplato sia quando si registrano delle plusvalenze che delle minusvalenze e anche quando non si sono effettuate operazioni sul conto trading, nello specifico:
- In caso di plusvalenze: si paga un’imposta del 26% sulle plusvalenze da attività finanziarie e del 12,5% su obbligazioni e Titoli di Stato.
- In caso di minusvalenze: occorre compilare obbligatoriamente il quadro RW con versamento dell’imposta IVAFE, se dovuta (Imposta sul Valore delle Attività Finanziarie all’Estero) e serve soprattutto per poter andare in compensazione con le plusvalenze che si possono verificare entro i 4 anni successivi.
- In mancanza di attività sul conto trading: occorre comunque compilare il quadro RW ai fini del monitoraggio fiscale e versare l’imposta IVAFE.
Quali sono le sanzioni per Omessa dichiarazione dei redditi del conto trading e redditi non dichiarati
- Per omessa o infedele dichiarazione dei redditi: 250 €; a cui si aggiunge
- Sanzione del 30% sulle imposte non pagate o non dichiarate.
Per quanto riguarda, invece, le sanzioni previste per il monitoraggio fiscale (mancata compilazione del quadro RW), sono previste:
- sanzioni variabili dal 5% al 15% delle somme omesse nel quadro RW;
- raddoppio dei termini di accertamento.
Mancata dichiarazione redditi. Consigli utili per essere in regola con il fisco se hai un conto trading. Occhio alla tardiva presentazione
In materia fiscale bisogna essere sempre molto cauti e attenti per non incorrere in penali e sanzioni anche se si opera in buona fede e senza volontà o malizia di evasione. Le cose importanti da ricordare, nel momento in cui di decide di intraprendere un investimento da trading online, sono la consapevolezza che i guadagni non sono “regalati”, bensì regolamentati e sottoposti a regime fiscale e controlli severi e quindi si tratta di un reddito come un altro che va dichiarato, tuttavia è bene rassicurare che gli aspetti burocratici non sono difficili da ottemperare … purché si ci ricordi di farlo; quindi se possiedi un conto trading ricordati di:
- versare il 26% a titolo di imposta di plusvalenza (per chi ha scelto il regime dichiarativo, il versamento si effettua in sede di dichiarazione dei redditi);
- dichiarare anche le minusvalenze (chi non dichiara le minusvalenze nel quadro RW dedicato non potrà utilizzarle in compensazione negli anni successivi se si registrano eventuali plusvalenze);
- utilizzare eventuali crediti di imposta per pagare le imposte dovute sulle plusvalenze generate;
- compensare le plusvalenze con le eventuali minusvalenze registrate nell’arco dello stesso anno fiscale per ridurre l’imposta finale da versare;
- compilare il quadro RW e versare l’IVAFE nei casi di piattaforme di brokeraggio estere.
Il trading online è un’attività che si esercita senza apertura di partita IVA e senza posizioni INPS, condizioni che comportano pregi e difetti allo stesso tempo, ma rappresentano comunque un risparmio per il trader.
In considerazione di quanto finora è stato detto, quindi è consigliabile sempre inserire i profitti derivanti dal trading online nella propria dichiarazione dei redditi, al fine di evitare problemi finanziari ma soprattutto di natura penale.
Tasse sul Trading: come funziona esattamente? Te lo spieghiamo noi
Hai problemi a capire come funziona il mondo delle Tasse sul Trading? Oggi affronteremo questo argomento assieme. Una delle attività che ha riscontrato un considerevole sviluppo a seguito della diffusione dei computer e di internet è stata quella del cosiddetto trading online. Questo consiste, in pratica, nella compravendita di diversi prodotti finanziari (come ad esempio materie prime, titoli e valute) su vari mercati, effettuata attraverso l'intermediazione di cosiddetti Broker o società specializzate e che mettono a disposizione delle persone interessate dei programmi e delle piattaforme online. Tale attività si può tranquillamente svolgere attraverso computer o smartphone.
Essendo un'attività di compravendita finanziaria non diversa da altre ed in cui è possibile anche riuscire a raccogliere dei profitti, per coloro che annualmente vi ottengono dei guadagni e quindi delle entrate si profila anche il dovere di pagarvi delle imposte. Di conseguenza, ciascuno di tali soggetti è tenuto a pagare le tasse sul trading. Andiamo ad approfondire meglio questo particolare argomento, non sempre molto conosciuto dalla maggior parte delle persone.
Cosa va tassato
Ad essere dichiarata deve essere la differenza tra quanto investito inizialmente su un'attività finanziaria online e quanto realmente guadagnato da essa. Tale differenza viene chiamata Capital Gain o guadagno in conto capitale o, ancora, plusvalenza finanziaria. Tuttavia, come vedremo, a poter essere inserite e pertanto dichiarate possono essere anche le eventuali perdite ottenute. Comunque, l'imposta su tali introiti si attesta attualmente al 26%.
Come dichiarare i guadagni ottenuti e pagare le tasse sul trading. Occhio all'omissione dei dettagli
Le modalità attraverso cui si possono pagare le tasse su tali introiti sono due, quindi avremo due regimi fiscali differenti:
- Nel cosiddetto Regime Sostitutivo, sarà direttamente il broker, per conto del soggetto che svolge attività di trading, a dover pagare i guadagni ottenuti da quest'ultimo, attraverso l'applicazione di una sorta di ritenuta alla fonte, a titolo di imposta. Di conseguenza, il soggetto sarà esentata da tale incombenza, che ricadrà invece sul broker. Ad essere oggetto di dichiarazione possono essere le plusvalenze derivanti dalla cessione di partecipazioni o di titoli finanziari, come ad esempio valute e titoli non rappresentativi di merci.
- Nel cosiddetto Regime Dichiarativo, invece, è direttamente la persona che ha ottenuto dei profitti da attività di trading online a dover calcolare e dichiarare tale ammontare. Il tutto mediante la presentazione della consueta dichiarazione annuale dei redditi e, nello specifico, attraverso il modello Unico.
Scopriamo di più sulle tasse sul trading.
Dichiarazione dei redditi e trading presentata in ritardo?
In particolare, all'interno di quest'ultimo modello, si deve andare al quadro RT (Plusvalenze di natura finanziaria) e compilare la sezione specifica inerente la situazione del singolo soggetto e che riguarda tutti i profitti ottenuti dall'attività di trading, oltre a quelli derivanti da Future, Option e Contratti Forward e che vanno sotto la denominazione di "Altri redditi diversi di natura finanziaria".
Nello specifico, la sezione I si riferisce a plusvalenze e redditi realizzati fino al 30 Giugno 2014 e tassati al 20%, mentre la sezione II a quelli ottenuti e quindi decorrenti da tale data e che sono tassati invece al 26%. Come dicevamo, è possibile anche conteggiare e dichiarare le perdite subite, per cui si avrà la possibilità di dedurne una percentuale.
Una volta effettuata la dichiarazione di plusvalenze e perdite tramite modello Unico, si dovrà pagare la relativa imposta attraverso modello F24 e da compilare con un codice tributo specifico in base proprio alla tipologia dei proventi e alla loro derivazione. Il tutto deve essere effettuato naturalmente entro le scadenze indicate per la dichiarazione dei redditi di ciascun anno.
Comunque, considerando alcune volte la complessità della materia fiscale, ciascun soggetto che svolge attività di trading online e che intende avere chiarimenti su come dover dichiarare i profitti da essa derivanti ed eventualmente pagare delle imposte su tale attività, può rivolgersi sia a dei competenti studi di commercialisti, che eventualmente ai Caf presenti nella propria città.
Nel caso in cui, invece, si vogliano prendere informazioni direttamente su internet, è possibile trovare sia istruzioni esplicative che moduli e modelli sul sito dell'Agenzia delle Entrate. Questi si possono scaricare sul proprio computer sotto forma di allegati Pdf ed eventualmente anche stampare.
Funzionamento della tassazione sul trading online
La dichiarazione dei redditi si presenta ogni anno a valere sui redditi percepiti nell’anno precedente (la dichiarazione 2019 sui redditi e i guadagni del 2018). Anche i redditi derivanti da attività finanziarie online come il trading – se superano una determinata soglia di guadagno – necessitano di essere dichiarati fiscalmente, per cui se al 1° gennaio risultavano sul conto trading 1000 € e al 31 dicembre ne risultano 6.000, significa che è maturato un guadagno di 5000 € che tecnicamente si definisce “plusvalenza”; questo introito va dichiarato. Allo stesso modo se al 1° gennaio si ha un conto trading di 1000 € e a dicembre risultano 400 €, vuol dire che si è verificata una perdita di 600 €, tecnicamente definita una “minusvalenza”, ma anch’essa dovrà essere dichiarata fiscalmente o utilizzata a compenso. Le imposte si calcolano sul guadagno registrato tramite l’attività di trading.
Lo stesso discorso vale per la tassazione del Forex, per i proventi generati dalle attività sui mercati valutari. Sostanzialmente, con la Risoluzione n. 102/E del 25 ottobre 2011, l’Agenzia delle Entrate ha chiarito che sia le attività di trading che di Forex sono parimenti soggette a tassazione nel momento in cui si verifica una plusvalenza, indipendentemente dall’entità (infatti, prima della risoluzione si riteneva che nel caso dei guadagni dal Forex, si dovessero dichiarare solo se in conto erano depositati oltre 51.645,69 € e vi era stata attività almeno 7 giorni lavorativi continuativi nel periodo di imposta).
La stessa risoluzione chiarisce anche come e su cosa effettuare il calcolo dell’imponibile. I redditi da trading sono costituiti dalla somma algebrica dei differenziali positivi e negativi dei proventi. Ai fini del calcolo occorre considerare solo le operazioni aperte e chiuse nell’anno di imposta, per cui se si sono effettuate due vendite e un acquisto tra febbraio e novembre 2018 e poi si è aperta un’altra posizione a gennaio 2019, ai fini della dichiarazione dei redditi 2019 si dovranno considerare solo le posizioni aperte e chiuse nel 2018, quella di gennaio 2019 ed eventuali altre nel corso dell’anno andranno a costituire il reddito da dichiarare nel 2020. Anche gli interessi percepiti o versati costituiscono la base dell’imponibile, così come le minusvalenze possono essere utilizzate per abbattere l’imponibile a compensazione sui guadagni fino a un massimo di 4 anni. Un esempio aiuta a chiarire: se nel 2016 è stata registrata una minusvalenza di 6000 €, mentre nel 2017 una plusvalenza di 2000 € è possibile utilizzare la minusvalenza per abbattere la plusvalenza e portare a 0 la plusvalenza che, così facendo, non è più imponibile perché è come se non quei 2000 € non si fosse guadagnati perché sono andati a compensare la minusvalenza dell’anno precedente. Inoltre avanzano 4000 € di minusvalenza da utilizzare fino ed entro il 2022 (ovvero fino a un massimo di 4 anni) per scontare eventuali altre plusvalenze riducendo se non azzerando la base imponibile e quindi le imposte da versare.
Aliquote e altre imposte sul trading online
Dal 1° luglio 2014, l’aliquota per il calcolo delle imposte sui redditi da trading è del 26%, l’aliquota è fissa e non prevede scaglioni fiscali (come per l’IRPEF), quindi su un reddito da trading di 5000 €, si pagheranno 1300 € di imposta, su 10.000 € si verseranno 2600 €, su 100.000 € se ne pagheranno 26.000 e così via a seconda degli introiti.
Il pagamento dell’imposta si effettua tramite il modello F24 con il relativo codice tributo in base alla natura degli investimenti. Il pagamento delle imposte può avvenire in due modi:
- In regime amministrato, utilizzando lo stesso broker di trading come sostituto di imposta il quale provvederà a calcolare, sottrarre dai guadagni e liquidare le imposte dovute; oppure
- In regime dichiarativo dove è il trader contribuente a farsi carico della dichiarazione dei redditi senza intermediari.
Quale dei due regimi è più conveniente? Hanno entrambi dei pro e dei contro: il regime amministrato è conveniente dal punto di vista delle pratiche e delle formalità correlate alla fiscalità del trading, ma allo stesso tempo, i guadagni saranno da subito ridimensionati perché il broker provvederà alla chiusura di ogni operazione ad effettuare il calcolo di ciò che resta e di ciò che andrà versato come imposte. Il regime dichiarativo, invece, se da un lato è più oneroso da gestire a livello pratico, si rivela più remunerativo in termini di capitale, perché i calcoli si fanno una volta sola nell’anno e sull’intero capitale finale e non sulle singole operazioni, avendo così nel corso dell’anno più capitale da reinvestire con conseguente possibilità di aumentare i guadagni.
Esemplifichiamo: se si guadagnano 1000 €, con il regime amministrato il broker deposita sul conto 740 € e 260 € sono detratte per l’imposta, mentre in regime dichiarativo, l’intero capitale guadagnato rientra sul deposito. Con il regime dichiarativo le minusvalenze possono essere utilizzare per compensare le plusvalenze, mentre in regime amministrato non è più possibile farlo perché le imposte sono già state versate.
Le altre imposte che gravano sui redditi da trading sono:
- La Tobin Tax;
- L’imposta di bollo;
- L’IVAFE.
Sia la Tobin Tax che si applica su alcune transazioni finanziarie che l’imposta di bollo sul conto trading sono definite imposte marginali perché è il broker che assolve questi aspetti burocratici e inoltre incidono molto lievemente sugli introiti in termini assoluti.
L’IVAFE – l’Imposta sul Valore delle Attività Finanziarie all’Estero – è, invece, considerata una tassa pesante perché si applica su quanti operano con broker residenti all’estero e colpisce il denaro depositato sul conto, pertanto si corrisponde sia se ci sono state delle plusvalenze, delle minusvalenze o che non siano state fatte operazioni per l’intero anno di imposta. Quindi, l’IVAFE si paga sul deposito in conto trading e l’aliquota è fissata al 2 per mille: su una giacenza di 15.000 € si verserà 30 € di IVAFE. Il versamento minimo per l’IVAFE è di 12 €, ciò significa una giacenza minima in conto trading di 6000 €. Sotto la soglia dei 6000 €, l’IVAFE non è dovuta.
Riguardo all’IVAFE si è aperto un quesito non risolto relativamente ai trader che aprono un conto con un broker estero ma regolamentato e iscritto nelle liste della Consob – organo di controllo finanziario locale: l’IVAFE è dovuta in questi casi, oppure il broker in quanto iscritto alla CONSOB risponde al regime fiscale italiano? Il dibattito è aperto, sebbene la maggior parte degli esperti sostiene che in questi casi l’IVAFE non è dovuta. Nel dubbio si raccomanda sempre di consultare un commercialista professionista, preferibilmente se esperto del settore trading online e forex.
Omessa dichiarazione dei redditi in prescrizione: come non pagare le imposte sul trading online?
Come si può fare per non pagare le imposte sul trading online nel nostro stato rimanendo nella legalità? Le soluzioni possibili riguardano il pagare meno tasse, senza per forza emigrare o passare in Paradisi fiscali, rimanendo nella legalità. Solo così sarà possibile capire se ci possono essere delle piccole alternative praticabili, non commettendo atti illegali.
Tasse sul trading: come dichiarare il conto di trading?
Coloro che fanno del trading online, come detto, sono soggetti al pagamento delle imposte sulla quota di guadagni ottenuti da tale attivitá annualmente. E da qualche anno a questa parte, l'imposta sostitutiva su tali profitti da investimento si attesta al 26% di quelli complessivi. Lo Stato sottopone a tassazione le plusvalenze ottenute da investimenti, in particolare quando un Trader vende un prodotto finanziario ad un valore superiore a quello di acquisto o quando un investitore ottiene dei dividendi dal possesso di azioni o di fondi d'investimento specifici, come quelli ETF.
Le tasse sul trading che annualmente un soggetto è tenuto a pagare fanno riferimento, in pratica, al profitto al netto delle perdite. In altre parole, se l'investitore durante l'anno ha ottenuto profitti per un importo di 1.000 Euro e, nello stesso periodo, ha visto perdite per 600 Euro su altri investimenti effettuati, la somma su cui dovrá pagare le tasse è 400 Euro (1.000 – 600). Questo genere di tasse sul trading, poi, si applicano su diversi strumenti finanziari su cui si effettuano tali investimenti, come ad esempio materie prime, metalli preziosi, azioni, obbligazioni, fondi e criptovalute.
Per quanto riguarda il livello delle tasse sul trading, in Italia, la situazione non risulta peggiore rispetto ad altri Paesi sia europei che extraeuropei. Tuttavia, nel Vecchio Continente, gli Stati ideali dove poter effettuare investimenti, pagando imposte minime se non proprio nulle sui profitti ottenuti, sono la Svizzera e Malta. In questi Paesi, fare del trading online risulta essere particolarmente vantaggioso. Fuori dall'Europa, invece, esistono i cosiddetti paradisi fiscali, come ad esempio gli Emirati Arabi Uniti o Singapore, che non applicano invece imposte.
Considerando che nel nostro Paese si è tenuti a dichiarare qualsiasi genere di profitto derivante da investimenti, allora conviene scegliere il regime fiscale migliore per il pagamento delle tasse sul trading. Se si effettuano diverse operazioni di investimento o transazioni all'anno, allora conviene utilizzare il sistema dichiarativo. Nel caso in cui, invece, si effettuassero poche operazioni, al massimo 2 o 3 annualmente, il regime fiscale amministrato o sostitutivo risulta essere maggiormente conveniente.
Speriamo che il nostro articolo sulle tasse sul trading vi sia stato utile.